Ma chi è il terapeuta?

Potremmo definirlo il saggio errante della storia di Alibabbà…il genitore affidatario…

 Alìbabà alla morte lasciò ai suoi quattro figli 39 cammelli in eredità, ed il testamento prevedeva che fossero divisi tra loro in questo modo: Il figlio maggiore doveva riceverne la metà, il secondo un quarto, il terzo un ottavo, il più giovane un decimo. Si capirà bene che così presentato il problema appare irrisolvibile, come si possono anche solo dividere 39 cammelli a metà per dare al primogenito la sua parte di eredità? Proprio mentre i 4 fratelli stavano discutendo animosamente, passò di lì un saggio errante, il quale, incuriosito dalla disputa, intervenne risolvendo con estrema semplicità il problema dei fratelli. Scese dal suo cammello, e lo aggiunse ai 39 dell’eredità, che divennero così 40. Cominciò quindi a fare le divisioni sotto lo sguardo esterrefatto dei fratelli. Al maggiore assegnò 20 cammelli, al secondo ne dette 10, al terzo 5 e al più giovane 4. Dopo di che montò sul cammello restante, considerato che era il suo, e ripartì per il suo errare (Eigen, 1986).

Come il saggio errante nella storia di Alibabà, anche il terapeuta, in quanto genitore affidatario, mette del suo temporaneamente affinché i conti dei pazienti possano tornare, ma dopo il proprio intervento lascia spazio alla famiglia, perché la sua presenza non è più necessaria.

Penso, infatti, che essere terapeuti significhi prima di ogni cosa distinguere l’altro da sé, inoltre, essere in grado di accompagnarlo nel suo cammino di rielaborazione personale, sostenerlo qualora lo necessita e aiutarlo a recuperare un proprio benessere, senza sottrarlo a vivere emozioni dolorose o spiacevoli. La persona o la famiglia può così imparare a recuperare la chiave giusta per aprire ogni porta che troverà nel suo cammino.